Il ponte

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All’inizio dell’anno c’è chi non vede l’ora di scorrere il calendario per segnare con un cerchio il giorno del compleanno di amici e parenti. Per molti si tratta di un rito. In realtà, la prima cosa che facciamo è cercare il giorno del nostro compleanno, è un classico. C’è chi invece all’inizio dell’anno il calendario lo scorre molto velocemente per capire la struttura dei ponti di primavera, per giocare d’anticipo su colleghi e caselle in excel da riempire (versione ufficiosa, quasi intimista) / per pianificare in tempo le tipiche gite fuori porta con amici e parenti (versione ufficiale). Polline permettendo.

Tempo fa, durante un ponte di primavera, mi trovavo in Bretagna, terra di avi e d’infanzia. Si parlava di coincidenze e di polline, seduti a tavola; in famiglia c’è chi è allergico al polline. Dopo pranzo, mio nonno andò a prendere un libricino dalle pagine ingiallite, custodito nella sua immensa biblioteca. Un volta aperto, si sentiva un odore acre di vissuto. Sprofondò nella poltrona e cominciò a leggere, con la pipa in mano.

Quelle che qualcuno chiama coincidenze fecero si che si incontrassero, accidentalmente, come sempre accade. Stavano camminando su un ponte, una mattina di fine aprile. Era un fine settimana, lungo. Era un ponte di primavera. Nevicava polline. Quella mattina raggiunsero a piccoli passi il centro di quel ponte, il suo punto più alto per via della curva, simultaneamente, provenienti entrambi da entrambe le sue estremità. Non c’era stato bisogno di alzarsi sulla punta dei piedi per riconoscersi. Si trovavano nel punto più alto dopo aver raggiunto entrambi il punto più basso, questo era stato il loro primo scambio.

Quelle che qualcuno chiama coincidenze fecero si che il ponte dovesse essere il simbolo della loro unione. Lo avevano deciso, insieme. Al primo incontro seguirono altri incontri, non più accidentali, come sempre accade. Decisero che avrebbero camminato sui ponti più belli delle città più belle del mondo, non solo di mattina, e che tutte le volte dovevano partire entrambi da entrambe le estremità, ogni volta per potersi incontrare e riconoscere nel punto più alto della curva. Camminare sui ponti era come fermare il tempo, a modo loro, era come fermare immagini non conosciute, mai viste. Era un rito.

Quelle che qualcuno chiama coincidenze fecero si che non si accorsero in tempo che il tempo passava, inesorabile. Il rito divenne abitudine, l’abitudine divenne noia. Continuarono ad incontrarsi sui ponti più belli delle città più belle del mondo promettendosi, vicendevolemente, amore incondizionato e rifiuto categorico di lucchetti intrecciati e parole mielose, indelebili, incollate sopra l’acqua dei fiumi. O dei mari. Poco importava. Loro erano diversi, come sempre accade.

Nevicava
Neve
Nessun polline
Nessuna impronta

Aspettavamo tutti un commento dal nonno
Una sua impronta
Parlò di coincidenze

La borsa

Immagine

Dai prova anche tu, forza! Ok, ci provo: precipitevolissimamente! Sbagliato! Cioè no, magari non è sbagliato a livello grammaticale, ma non è la parola che ti sto chiedendo di pronunciare. Precipitevolissevolmente! Quasi.. Precipitelovissimevolmente! Humm.. Dai concentrati e conta fino a dieci. Precipitevolissimevolmente!! Oh, bravo, ce l’hai fatta!! So che le prime volte non è facile da pronunciare, soprattutto per chi non è di madrelingua. Lo sappiamo. E soprattutto perché la parola è lunghissima, composta da undici sillabe, un endecasillabo, me lo hanno insegnato al liceo (in realtà me lo avevano insegnato anche alle medie ma ero troppo concentrato sul fatto di non essere di madrelingua italiana).

La borsa è l’oggetto che una donna deve sempre avere con sè. O per lo meno a portata di mano. O – meglio ancora – in mano. Dipende dalle sue dimensioni. Anzi, dipende dalle occasioni. Dipende dall’orario. Dipende se è mattina o sera. Dipende se vado al lavoro o fuori porta, dipende se vado al ristorante con Gianni che me la mena da più di un mese o se vado con le amiche in discoteca, così, per cambiare aria. E comunque.. Sempre averla in mano. O sottobraccio. O in spalla. Mai perderla di vista, la borsa. La donna e la borsa sono spesso un tutt’uno. Si completano. Si somigliano. Dipendono l’una dall’altra. L’altra dall’una. Una borsa per ogni occasione. Da abbinare rigorosamente con le scarpe e preferibilmente col vestito. O col foulard. Non si sa mai. Perché la classe non è acqua. E l’eleganza? Mah, a me piacciono le persone in cui scorgi l’eleganza dell’anima. Ah! E cosa mi dici allora del carattere di una donna e del carattere della sua borsa?!

“Chi troppo in alto sal cade sovente / precipitevolissimevolmente”. Ecco, precipitevolissimevolmente è una delle parole più lunghe della lingua italiana. Oltre ad essere un proverbio di una verità sconcertante. Ma non è la più lunga. Ah, eppure a me sembra tanto, tanto lunga.. Ma allora dimmi, qual è la parola più lunga? Supercalifragilistichespiralidoso?!?!

No, lascia stare Mary Poppins, anche se devo dire che la borsa della supertata ha il suo perché.. Confesso che mi hai fatto ridere. E comunque no, non è il portafoglio, non è la boccettina di profumo, non è l’agenda, non sono i fazzoletti, non è la spazzola, non sono gli elastici che non vuoi più mettere al polso perché ti rallentano la circolazione del braccio, non è la custodia nera con dentro gli occhiali da sole, non è il burro cacao, non sono le ballerine (!) o i cerotti per i piedi (!!) non è il mazzo di chiavi che puntualmente si perde nei meandri di quel casino (!!!) e no, non è neanche la bottiglietta d’acqua con il residuo fisso più basso, non è il pacchetto di crackers integrali o la barretta di cioccolato che ti fa tutta ciccia e brufoli, no, neanche lo smartphone anche se magari capita che me lo dimentico a casa e poi dimmi tu eh, come faccio a trascorrere un’intera giornata senza?!.. No, l’oggetto più importante rimane la borsa. L’oggetto in cui mettere tutti questi oggetti. E tanti altri. E lo smartphone, soprattutto, così non lo lascio a casa.

Sì va bene, ma prima si parlava della parola più lunga in italiano.. Okay, allora aspetta che vado a vedere su wikipedia perché non lo so. Ecco, trovata! La parola più lunga della lingua italiana è…un neologismo! Nato anni fa grazie ad alcuni studi sullo stress, la “malattia del secolo”. Quale secolo? Te lo spiego dopo. Psiconeuroendocrinoimmunologia! Vuoi provare?! Psico-neuro-endo-crino-immunologia!! Non facile eh?!

Nella borsa di una donna ci sono solo oggetti indispensabili: esci presto al mattino e la sera torni tardi dopo una giornataccia tra la decina di mail che devi sbrogliare immediatamente, appena arrivi in ufficio, poi si fa l’una e quindi dai andiamo a mangiare da Carmela e poi andiamo al bar a bere un caffé d’orzo in tazza grande perché il pancino va riscaldato, fuori fa veramente freddo…brrrr…ho le dita intirizzite…no no, uscite voi a fumare, io me ne sto qua al calduccio! Poi i meeting pomeridiani, sei cercata da tutti e a tutti vorresti dire che sei in riunione per tutto il pomeriggio e fai un occhiolino d’intesa alla segretaria, dai aiutami e non passarmi nessuno! Lei, la segretaria, la sua borsa l’ha appoggiata sulla scrivania per non perderla di vista (e perché non si deve mai appoggiare la borsa per terra, allontana i soldi, era solita ripeterle la nonna di Foggia). Oggetti indispensabili? Il portafoglio lo è senz’altro, rigorosamente abbinato al colore della borsa. Meglio se della stessa marca. E il mazzo di chiavi, anche se si perde nei meandri…anche quello è indispensabile. Guarda che rimani chiuso fuori casa! E i trucchi? No, non lo sono neanche quelli. Beh, ma al mattino bisogna pur eliminare le borse sotto gli occhi, no?! Sì, la soluzione?.. Occhiali da sole! Aiutano. Anche d’inverno. Sull’autobus. O nella metro. In macchina. Sempre.

“La borsa è ampia e spaziosa al sorgere del sole e si rimpicciolisce e si illumina di strass e diamanti al calar della sera”. Ho letto questa frase seduto su una poltrona qualche giorno fa mentre aspettavo il mio turno dal barbiere. Sì, la Borsa è il Vero Oggetto Indispensabile. La borsa, la borsetta, la borsina, la pochette.. Oh, cosa fai, bofonchi? Sì, non capisco il nesso tra la lunghezza delle parole italiane e la borsa delle donne. Quei due versi poi…chi troppo in alto sal..??.. Okay, allora adesso siediti. E ascoltami.

Hai mai provato a mettere le mani dentro la borsa di una donna? Io non l’ho mai fatto. Non ci riesco. Per me è il loro giardino segreto. Non lo facevo neanche da adolescente, tanto per fregare una sigaretta alla mamma bastava andare in cucina, le lasciava sul tavolo. Le uniche volte in cui mi è capitato è perché si era perso il mazzo di chiavi nei soliti meandri. A volte due mani per frugare non bastano.

Una sera ho saputo che quattro mani si stavano intrecciando nei soliti meandri della borsa di lei, sotto le luci opache delle scale, era tardi, dai aiutami non trovo ‘ste chiavi sono stanca uffa e poi due voci che a un certo punto cominciano a sovrapporsi, a farfugliare. Lui, le sue chiavi, le aveva lasciate a casa tanto, amore mio, chiudi te, vero?! Due sguardi che si incrociano e si piegano. All’improvviso. Quattro mani nella borsa. Ginocchia per terra. Si farfuglia. Ecco, da quel momento lì, da quel momento in poi, quello che lui scoprì nella borsa di lei, proprio lui che viveva da pochi mesi con lei e con il loro progetto, il loro Amore, la loro storia, la convivenza. L’Amore. Se lo dicevano. Se lo ripetevano. Sempre. Per Sempre (forse, un banale PS).

Ecco, da quel momento in poi, da quando gli era parso di aver raggiunto la vetta, le distanze percorse, tante, da quando aveva capito che poteva intrecciare le mani e gli sguardi senza che si piegassero, entrambi, così, all’improvviso. Ora, un improvviso intreccio di parole percorse durante il loro percorso. Sempre farfugliato. Sia l’intreccio, che il percorso.

E comunque lì dentro, dentro quella borsa, scopre quella cosa lì.

E. Improvvisamente. Cade.

Precipitevolissimevolmente