La statua

san_francesco

Quando guardi una persona dritto negli occhi cerchi sempre di capire che cosa nascondono quegli occhi. A volte non succede subito ma prima o poi succede. Più prima che poi. Gli occhi hanno sempre qualcosa da nascondere. Chi pensa di non dover nascondere nulla con gli occhi pensa di non dover nascondere nulla di se stesso. Ma non a se stesso. Nessuno di noi ha uno sguardo innocente. Tutti abbiamo qualcosa da nascondere.

Anche tu.

Una delle prime cose che mi ha colpito di Roma – qualche tempo fa – è stata la stravagante moltitudine di statue incontrate mentre vagavo – perso – per le sue vie. Non lo facevo a posta, a Roma ci si perde. Le sue vie, le sue piazze, i suoi angoli, i suoi giardini, le sue chiese, le sue ville, le sue fontane, i suoi tetti, i suoi palazzi, le sue cupole. Invasione di statue di piccole medie grandi dimensioni. Caput Mundi.

Gli occhi sono lo specchio dell’anima. Penso di aver sentito questa frase almeno un centinaio di volte, una frase diventata oggi banale ma che di banale ha ben poco. Gli occhi sono la parte più importante del corpo. La parte che riceve ed elabora le informazioni, i processi cognitivi.. E’ la parte più sensibile e allo stesso tempo quella meno protetta. Le ciglia degli occhi lavorano sempre, continuamente, non si stancano mai, sbattono migliaia di volte al giorno, solo per proteggere pulire idratare l’organo più importante del nostro corpo. Dopo il cuore. I pesci non chiudono mai gli occhi.. Neanche il povero protagonista di una delle scene più violente di Kubrick!

Le statue di Roma sono un un piccolo esercito non parlante che parla tantissimo. A tutte le ore del giorno e della notte. Parlano di epoche lontane, di persone incontrate, di occhi umani che hanno incrociato i loro occhi milioni e forse miliardi di volte. Dipende dall’epoca della statua. Dipende da quanto è profondo lo sguardo della statua. Dipende se riesci a scorgere lo sguardo della statua, dipende da dove è posizionata, dipende se ha voglia di guardarti o se preferisce guardare un’altra statua. O il cielo. Tutto dipende, va bene…

Ma è relativo il fatto che tutto sia relativo!

Gli occhi sono piccoli – si sa – e sono posizionati nella parte più alta del nostro corpo. La testa. Non potevamo avere gli occhi all’altezza della gola o – che ne so – delle cosce? No. Intanto non vedresti cosa mangi. La digestione inizia sempre dagli occhi. E poi i soldati costruiscono castelli in cima ai colli, in cima alle montagne, per vedere meglio. Il nemico. Per vederlo da lontano, per vederlo arrivare da più in alto possibile. E vederlo dal più in là possibile, essendo più in alto possibile. Chissà cosa pensano gli astronauti quando sono lassù in un posto senza gravità dove non puoi andare più in alto. Deve essere alienante. Si tende sempre ad andare più in alto, non solo più avanti. Chiaro…indietro non si torna.

A Roma le statue sono anche parlanti. Parlano?! No. Parlano con gli occhi.. Come i cani? Si, ma i cani abbaiano e forse parlano per davvero, le statue no. Parlano rispondendo ai messaggi scritti e appesi di notte ai loro piedi. Dipende poi da che cosa vuoi sentire. O leggere se ti rispondono. E’ già successo.

Gli occhi sono probabilmente anche la massima espressione del linguaggio del corpo. Quella più incisiva. Paradossalmente la più veritiera. Ecco perché cerchi la menzogna negli occhi delle persone! No, cerco le cose nascoste..

Statue parlanti.. Si, sono sei e si trovano nei posti più disparati della città. La più famosa è Pasquino ma la più affascinante è Madama Lucrezia, forse perché è l’unica statua femminile…si trova in un angolo nei pressi del balcone più famoso d’Italia. Quello di Romeo e Giulietta? Sì, più o meno.. Madama…parigina? No, napoletana, ha vissuto nei pressi di quel balcone tanti anni fa e aveva la sua statua davanti a casa. Se la osservi bene vedrai che i romani – nel tempo – hanno accarezzato il suo volto, fino a sfigurarlo. Nei pressi del balcone di Giulietta i veronesi – nel tempo – hanno preferito accarezzare il suo seno. E poi si parla di campanilismi..

Ma cosa c’entrano gli occhi con le statue? Nulla. A me piacciono le spalle delle statue. Non i loro occhi. Mi piace la vulnerabilità delle spalle delle statue, dove arriva il nemico, la parte meno esposta, meno vista e quindi più suggestiva e misteriosa. Opinabile!

Certo, non riesco a capire cosa nascondano gli occhi delle statue di Roma.

Sono state abituate a vedere troppe menzogne.

Roma antropofaga

colo.flickr

La fortuna degli apolidi metropolitani senza radici avendone ovunque consiste nel fatto che riescono solitamente a saltare da una città all’altra senza troppe difficoltà. L’eventuale nuova lingua, i nuovi posti alti o bassi, grandi o piccoli non rappresentano quasi mai un problema. Il vero problema sono gli autoctoni. I mangiatori di uomini. A prescindere dalla latitudine e dalla longitudine. I mangiatori di uomini vivono ovunque, in qualsiasi metropoli. A volte vivono anche nei villaggi. Il cannibalismo – in questo caso – è a misura d’uomo.

“La bellezza del luogo in cui vivi è inversamente proporzionale alla velocità in cui ti ci imbruttisci. Vivendoci.” Non è un detto popolare. E’ il risultato di una constatazione. Non mia. Dopo aver visto un film. Al cinema. Poco tempo fa.

Passata la fase degli orsacchiotti, dei cd anti autovelox e degli arbre(s) magique(s) attaccati allo specchietto della macchina – e anni dopo aver imparato a guidare veramente una macchina – ti trovi davanti ad un un bivio: deve essere un mezzo, il mezzo che mi porta dal punto A al punto B nel minore tempo possibile e con tutte le comodità del caso? Decisamente si. Ma non è solo una questione di tempo. E neanche di comodità. E a dire il vero neanche di arbre(s) magique(s). Quelli li attacco ancora. L’altra via del bivio è una strada piena di curve, non una strada rettilinea. Non l’autostrada. Che monotonia. E’ più veloce si certo. Ma si va sempre dritto. E poi ti addormenti al volante se non bevi molti caffé. Non ci sono le curve.

Sono tante le metropoli del mondo e tanto è il mondo. Troppo. I nostri occhi sono piccoli. Troppo piccoli per vedere quanto tanto è il mondo. Non basta una vita. Troppo poca. Ma se vai in autostrada non vedi e non vivi mai le curve: i paesaggi nascosti che si aprono davanti a te – dopo ogni curva – rimangono persi. Nascosti. Non visti. Perdi guadagnando tempo.

“E’ anche un film sullo stridore totale che esiste tra la bellezza di Roma e la bruttezza delle persone che la abitano. Non perché sono brutte di natura. Ma perché Roma le ha imbruttite.”

Potrebbe forse essere un inno al romanzo sul niente! Il titolo del romanzo del protagonista – l’Apparato Umano – è come si suol dire la chiave e il riflesso del messaggio. E’ un film sul niente e sulla bellezza di Roma che vuole riempire quel vuoto. Ma solo in superficie. La sostanza dimostra invece che la bellezza è prima di tutto fatta di uomini e dagli uomini. E’ umana. Anche perché è l’uomo che decide ciò che è bello, dato che gli piace. Ma se la bellezza è umana allora è anche decadente. Prima o poi svanisce. Rimangono gli angoli nascosti dietro ogni curva di Roma. A piedi. Senza macchina. Pedalando in bicicletta o navigando sul Tevere..

Il corpo che si riempe e si vuota. L’Apparato Umano. Pennac ultimamente è in fissa con l’apparato, con il corpo umano inteso come contenitore di tutta la nostra storia. Hillman era in fissa con le emozioni che hanno una memoria nello stomaco. Ah lo stomaco, il secondo cervello.. Ho visto poche farfalle in quel film.

Saltare da una città all’altra per un apolide metropolitano senza radici avendone ovunque è come prendere la macchina e decidere di intraprendere una strada piena di curve. Ancora una volta. Altro bivio. Poca monotonia. Ma non è solo una questione di tempo.

Perché le curve saranno sempre di una certa.. grande bellezza!