Uno straniero parigino a casa sua

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bon alors bordel tu donnes des news ou quoi?

ciao ma caille, j’suis là

eccoti, finalmente… mi hai fatto preoccupare… ma tanto. è quasi una settimana che ti cerco. parti e non mi dici nulla, cambi paese e non mi dici nulla, cambi numero di telefono e non mi dici nulla, ti scrivo su whatsapp e non rispondi, vedo che non ti connetti neanche più… cosa devo pensare?! ma che storia è?! ieri pomeriggio ho visto geremia in centro e mi ha dato il tuo nuovo numero. come sempre prendi e parti, quasi all’improvviso. potevi aggiornarmi però

sì, scusa… hai ragione. mais tu sais bien que je n’ai rien besoin de te dire… on vit en symbiose. toi et moi

sì, vabbé. bref, ho visto quello che è successo venerdì scorso. ripeto, sono giorni e giorni che ti cerco; sono giorni e giorni che piango. che ti penso. che penso ai quei caduti. che penso alle immagini viste in diretta appena tornato a casa dopo una serata al pub. io però sono tornato a casa. mais dis-moi, pourquoi tous ces mois de silence?

je sais. je me suis un peu éclipsé, j’avais plus envie d’écrire, juste quelques pensées mais rien de vraiment structuré. j’avais besoin de prendre un peu de recul par rapport à la dernière fois… tu t’en rappelles..? on parlait, comme d’hab, de nos conneries intellectuelles: c’était en janvier, le 4 précisément, je vivais à milan et tu étais venu me voir. le sujet de notre conversation tournait autour du chiffre 7… et puis voilà, le 7 janvier, 3 jours plus tard, il y a eu l’attentat contre charlie hebdo. voilà, j’ai voulu me taire et j’ai pleuré, pendant longtemps. et puis tu vois, une semaine vient de s’écouler après toutes ces attaques contre paname. tout juste 7 jours. bizarre tout ça

ah giusto… adesso mi ricordo bene, si parlava del numero 7 anche se in realtà sono passati parecchi mesi… e comunque non è da te sparire così. e non è da te non dare notizie quando sai che magari la gente si può preoccupare

già… scusa, di nuovo. comunque, alla fine della nostra assurda dissertazione su quel numero, a gennaio, ti avevo salutato con un termine che – ahimè – sarebbe diventato realtà in un lasso di tempo molto breve: apocalisse. ecco, quello che ho visto in televisione la settimana scorsa e nei giorni successivi per le strade colpite penso vada al di là di quel termine. venerdì scorso dovevo uscire anche io nell’undicesimo arrondissement, mi aveva chiamato una coppia di amici per una birretta e probabile cena proprio in quella zona, sai che ai parigini piace uscire e stare en terrasse, soprattutto quando il tempo è dolce e clemente, una chimera per questo periodo dell’anno, cioè, siamo a metà novembre!

e perché non li hai raggiunti…?

perché ho preferito tornarmene nella tebaide di montmartre, volevo vedere la partita e mangiare un piatto di pasta – ti ricordo che è il mio piatto preferito – e poi sai che a me piace il calcio e sai che la mamma è medium, qualcosa mi avrà pure trasmesso no? d’altronde papà mi ha trasmesso la passione per il pallone…

quindi mi stai dicendo che il calcio ti ha forse salvato… e comunque ho saputo – giorni dopo – che volevano colpire anche il diciottesimo, montmartre per l’appunto…

esatto. forse ho una buona stella lassù che mi protegge. quel venerdì, dopo pranzo, sono andato a fare una passeggiata nel sesto – ti ricordo che ci lavoravo dieci anni fa – per me questo è un luogo particolarmente sentimentale, poi sono andato a scattare alcune foto sul retro della cattedrale di notre-dame – ti ricordo che è uno dei miei posti preferiti – e lì mi squilla il telefono, si tratta di questa coppia di amici che vogliono sapere cosa faccio, se li raggiungo o meno, sono quasi le sette, rispondo dicendo che alla fine me ne torno a casa e che ci si vede domani per un pranzo, prendo la metro per tornare quassù, su questa collinetta, ma la metro va a singhiozzo, non passa ogni due/tre minuti come di solito ma ogni sei/sette, cosa molto strana qui, ogni tanto si ferma persino in mezzo alle gallerie, sorrido e penso all’estate appena trascorsa sulla metro b di roma senza aria condizionata e con quaranta gradi addosso per cui mi dico che non può succedermi nulla, e poi tanto ho le mie super cuffie beats che mi coprono le orecchie e che mi proteggono dai rumori esterni, leggo un libro preso in libreria la settimana scorsa e ogni tanto batto leggermente il piede quando l’iphone trasmette un pezzo che mi piace, poi arrivo a casa, sento il primo e subito dopo il secondo botto durante il primo tempo, tutti pensano che si tratti di petardi, grossi petardi – ti ricordo che lì per lì l’ho pensato anche io – poi tempo di mangiare il mio piatto di pasta e mi chiama la coppia di amici di cui sopra per dirmi che sono appena tornati a casa, hanno la voce rotta, hanno poco fiato, erano a due passi da casa loro per questa benedetta birretta – e alla fine anche cena – boulevard voltaire, poco distante da lì c’è uno dei bistrot dove uno è entrato, ha ordinato un caffè, si è seduto al banco e si è fatto saltare in aria, mi urlano che ci sono delle persone per terra, le hanno viste da lontano, e la gente corre da tutte le parti, gridano, si spingono, inciampano nel trovare un riparo, sirene ovunque, poi sentono di nuovo spari in lontananza, chiudo e il telefono squilla di nuovo, poi di nuovo, poi chiamo io, chiamo la mamma in bretagna per dirle: je t’aime, tout se passe bien maman, poi chiamo il fratellino a roma per digli di non preoccuparsi, sono a casa vivo e vegeto – ti ricordo che potevo adoperare altri termini ma sono le prime parole che mi sono venute in mente – poi il telefono squilla di nuovo, una due tre quattro cinque dieci volte boh non mi ricordo ma mi ricordo che gli amici mi chiedono tutti: t’es où? qu’est-ce que tu fais? t’es chez toi ou quoi? ok, alors bouge pas, surtout reste chez toi, apro il mac, mi connetto a repubblicapuntoit e cambio canale per vedere le prime immagini in diretta, comincio a capire, piano piano, diversi kamikaze fuori dallo stadio, attacchi nel decimo e nell’undicesimo, sparatorie, diversi commando in azione, presa di ostaggi al bataclan, vedo scorrere messaggi su facebook e twitter. tragedia

…e poi?

e poi ho aspettato, ho aspettato alcuni giorni prima di camminare nuovamente per le vie di questa mia città, ho aspettato che i sogni e gli incubi si facessero meno violenti, perché lo erano entrambi, ho aspettato che queste seguenti parole mi risuonassero chiare nella testa e che le sentissi sotto la pelle, in maniera lucida:

MÊME PAS PEUR

7

109

senti… toglimi una curiosità… ma anche quest’anno hai perso la nozione del tempo durante la settimana che separa il Natale dal Capodanno? sì… direi proprio di sì… bene, si vede che sei riuscito ad abbandonarti

ci stiamo avvicinando al 7… il tempo passa eh?! allora sei pronto…? pronto a cosa?! cioè…? e poi scusa, mi parli già del sette?! girati, per strada si respira ancora un’aria strana, guanti che si intrecciano e occhi che si sfiorano, senza far rumore, c’è un silenzio prolungato, sembra voglia recuperare una prolungata assenza… attesa durata settimane… sì sì ma ascoltami… prima del sette c’è il sei, che è un giorno di festa, quindi c’è ancora tempo… poi in effetti il sette si torna sempre sui banchi di scuola, dopo il sei. befana. dodici giorni dopo il Natale… Epifania… tutte le feste le porta via… ma secondo te la troveremo la calza piena di cioccolatini?! mah… tanto il carbone non va più di moda e poi stiamo elargendo sorrisi a destra e manca, un pò ovunque… una vera paralisi, non solo dovuta al freddo. per cui va tutto bene. siamo stati bravi noi… mica come voi

insomma ci stiamo avvicinando al 7… e quindi?! il sette arriva dopo il sei. so che tieni ad entrambi i numeri. e poi c’è il 76… sale e pepe, era ora eh?! parla per te! e del 75 allora, cosa mi dici?! ah… Lutèce! eravamo lì nel momento in cui si perde la nozione del tempo, ricordi…? mettiti la sciarpa, senti che freddo… copriti… brrr… marea bassa… si intravedono le prime conchiglie… la sabbia è ancora bagnata dall’acqua che si ritira, soffice, spinta dal vento è lì che galleggia sui granelli, si dirige verso l’orizzonte dove l’occhio si perde, dove cerca di vedere oltre… nooooooo quello era prima, poi sono arrivate le stelle

le sette stelle di hokuto, le sette meraviglie del mondo, i sette nani, i sette giorni della settimana, windows sette, le sette note musicali… aspetta, fermatiiiii mica gira tutto intorno al sette!! mica abbiamo solo sette dita, non si nasce mica in sette mesi, mica abbiamo solo sette peli sotto le ascelle… oddio, controlla bene le tue quando le gratti… se hai veramente sette virtù… perché tu gratti sempre e solo il tuo gatto… ecco, i gatti hanno sette vite… e poi perché? perché cadono sempre in piedi?! il tuo gatto in quale vita si trova? glielo hai mai chiesto? o forse non lo disturbi perché si trova al settimo anno di matrimonio, in crisi profonda, nozze di lana, o è in crisi perché non lo gratti più come una volta…? l’amore dura tre anni non sette ho letto e poi a letto è lo stesso quindi forse è vero… o forse no… dipende dal mese settembrino o dal set cinematografico? settimo giorno, gol nel sette, in rovesciata… in rovesciata? no dai… ma perché si fa gol nel sette?! guarda, basta che osservi il suo angolo… le sette del mattino, le sette malefiche, seven, seven seconds, i sette moschettieri ah merde! quelli erano solo tre… sette anni di studio “matto e disperatissimo”, sette giorni su sette, i sette sacramenti, i sette samurai, le sette vocali, i sette colori dell’arcobaleno… settebello… ah, occhio! occhio se cammini sopra l’arcobaleno con uno specchio… perché se cade… sono sette anni di sfortuna! i sette peccati capitali, capitali che ogni tanto danno la luce il 7, a luglio, servo tullio, uno dei sette re di roma, i sette colli di roma, i sette numeri di roma, septem, i sette anni vissuti a roma, sette anni in tibet, i magnifici sette, i sette pianeti, i sette cavalieri della tavola rotonda… ah merde! quelli erano un pò di più… le sette isole delle Canarie, dobbiamo andare a trovare un amico, chakra, cristiano ronaldo, ettagono… il sette e il suo rapporto con gli altri numeri tra l’uno e il dieci, non moltiplicabile e non divisibile, all’interno del gruppo. mah

…i sette arcangeli, i sette angeli, il settimo sigillo… le sette trombe… apocalisse

…apocalisse?!
senti, sono quasi le sette
vado a farmi la doccia

La lumaca

lum

Steso sulla mia amaca dopo un pranzo copioso e innaffiato sento due bambini che giocano nel backyard adiacente al mio; fanno molto rumore nonostante sia domenica e nonostante le urla degli adulti provenienti da dentro casa. I bambini ce l’hanno con qualcuno o con qualcosa. Mi affaccio oltre i rami di bambù che delimitano il mio spazio e capisco che ce l’hanno con le lumache. Povere lumache.

Dalla prima alla quinta elementare sono andato a scuola in una via centrale del dodicesimo arrondissement. Rue Lamoricière. Paris. Abitavamo al sesto piano. Un boulevard. Papà ci faceva entrare nell’ascensore dopo aver mangiato i kellogg’s. C’erano già. Ci ritrovavamo al piano terra in pochissimi secondi. Giunti nel cortile io e mio fratello salutavamo la concièrge. Il digicode non era stato ancora inventato. Nell’ascensore, in quei pochissimi secondi, papà ci diceva sempre sorridete e non perderete mai. Il digicode arriverà anche a Roma, prima o poi.

Bonjour madame la concièrge! Bonjour les enfants! Con un sorriso bianco che illuminava l’inizio di giornata. Poi ci incamminavamo verso il cancello nero. All’altezza del calzolaio si girava a destra e prima di arrivare davanti all’école ci si fermava da madame la boulangère. Bonjour madame la boulangère! Bonjour les enfants. Est-ce qu’on pourrait avoir des bonbons, s’il vous plait? On va faire moit-moit, Tino et moi! I fratelli minori sono solitamente più spavaldi. Si abituano a lottare ben prima. Non sempre. Ma quasi. Les enfants, un chausson aux pommes ou un croissant. Ou un flan, à la limite. Mais pas de bonbons. Faites moitié-moitié. Cela sera meilleur pour votre santé et surtout pour vos caries!

Non sapevo se papà si metteva d’accordo con madame la boulangère. L’unica certezza è che uscivamo dalla boulangerie con un pacco pieno di enormi bonbons solo il sabato mattina, quando a scuola ci accompagnava la mamma perché aveva sempre la mattinata libera e papà non solo faceva orario continuato ma doveva andare a lavorare prima degli altri giorni. Forse era tutto pianificato e i bonbons si potevano mangiare solo il sabato mattina. Ma mi piaceva sorridere alle persone. Tutte le mattine.

Mi stendo nuovamente sull’amaca e vedo lumache volare letteralmente sopra la mia testa. Sto sognando.

Le venti circoscrizioni in cui sono divisi i dipartimenti di Parigi formano – a ben vedere – il guscio di una lumaca. Perché proprio una lumaca? Da bambino me lo chiedevo spesso. Ma non osavo chiedere. Chiedevo tante cose, come tutti i bambini, ma non chiedevo nulla della lumaca. La domenica si andava a trovare amici alle porte della città, quando non erano loro a venire da noi: papà tirava fuori il suo stradario; la topografia. Gli piaceva quella parola. Su quel libricino tascabile vedevo sempre la solita lumaca. Un pò più piccola del solito. Ma sempre una lumaca. Chiedevo altro. La domenica mattina si prendeva la nostra Citroën due cavalli. Verde. Décapotable. Appena entrati sul périphérique chiedevo sempre – girando nervosamente la testa a destra e sinistra e reggendomi con le mani ai due poggiatesta: papà, maman, perché quelle macchine sono davanti a noi? Perché non possiamo sorpassarle? Perché non andiamo più forte? Loro se sono lì vuol dire che vanno più forte di noi. No, mi sentivo rispondere. Sono entrati prima di noi sul périph’ e quindi si trovano semplicemente davanti a noi. Semplicemente. Allora mi rimettevo seduto e giocavo a forza quattro – tascabile – col fratellino. Sembriamo una famiglia di lumache! Questo non riuscivo a dirlo. Lo pensavo.

Le domande dei bambini hanno sempre un che di innocente e misterioso. La non corruzione infantile rousseauniana. Prima di diventare pre-romantici, i bambini fanno sempre strane domande. Mai banali. Sono gli adulti ad essere banali. Noiosi. Gli adulti non trovano quasi mai le risposte alle domande dei bambini. Perché sono corrotti. E Sempre arrabbiati. Uffa. Credo si dimenticano di essere stati bambini. Fanciulli. No, non tutti se lo dimenticano.

“È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi […] ma lagrime ancora e tripudi suoi”.

Anamenesi. Risveglio della memoria. Fedro. Il ricordo delle idee. Platone. Ben prima di Marcel. La madeleine. Il tempo perduto non si ricerca. Sembra sempre definitivamente perso. Irreversibilmente trasformato. Lontano. Distante. E perso. Ma la madeleine inzuppata nel tè… La maman de Marcel. Anzi. La zia Léonie. Combray. Swann. Vedere una madeleine su un tavolo non ti ricorda nulla. Vero? Appoggiare però un pezzo di madeleine inzuppata di tè sul palato.. Beh, questo ti ricorda qualcosa!

Sensazione sensazionale.

Anche nel diciannovesimo secolo esistevano le lumache. Il Barone Haussmann, noto politico nonché prefetto del periodo antecendente alla Parigi godereccia e spensierata della Belle Époque, non solo mangiava gli escargots ma aveva pensato bene di ovviare al problema delle lumache parigine.

Le lumache continuavano ad essere lente perché prive di spazio. Erano buone però. Lo sono tutt’ora. Il Baron pensò bene che bisognava allargare le strade. Si faceva prima ad andare a mangiare le lumache. Creare enormi boulevards. Questo era stato il suo progetto. Parigi non sarà mai più la stessa. Farò prima ad andare a mangiare gli escargots.

A un certo punto capisco per davvero che le lumache volano sopra la mia testa. Scendo dalla mia amaca e vado a dare nuovamente un’occhiata a quello che succede nel backyard adiacente al mio. I bambini prendono le lumache – alcune ancora vive – da una bottiglia di plastica tagliata a metà e leggermente interrata, piena di birra. Il colore è più scuro rispetto alla birra che ho bevuto a pranzo.

Le lumache sono ghiotte di birra. Non solo di foglie in piena notte. Il Barone mangiava tante lumache e beveva tanta birra. Ma non penso vedesse volare le lumache sopra la sua testa. Neanche dopo tante birre.

I bambini si contendono le lumache col guscio più piccolo perché fanno una gara: vediamo chi riesce a tirarle fino al parco pieno di alberi. Dai guarda, quello là.. lo vedi? Di là, dove ci sono gli alberi. Il parco pieno di alberi è adiacente al mio backyard, dall’altra parte delle lumache. Ecco perché scelgono i gusci più piccoli. Per lanciarli più in là. In realtà se fossero più grossi forse andrebbero ancor più in là. In ogni caso vedo volare le lumache sopra la mia testa. Non dico nulla, non oso. Ma avverto una strana sensazione.

Sensazionale.

Non è l’ora del tè e non c’è nessuna madeleine. Anamenesi.

Bonjour madame la boulangère! Est-ce qu’on pourrait avoir des bonbons, s’il vous plait?