Unbirthday

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C’è una ricorrenza che cade ogni giorno dell’anno, il non compleanno. Durante i trecentosessantaquattro giorni di non compleanno si ricevono doni ingenetliaci. Più interessanti e graditi rispetto ad un unico dono genetliaco. No doubt. Grazie Lewis. Lapalissiano.

Che cosa hanno in comune un corvo ed uno scrittoio?

Nulla. Questo pensavo mentre contemplavo – indifferente – una coppia non più giovane che si scambiava effusioni in un ristorante. Seduti davanti ad una candela ed un paio di bicchieri di vino bianco, rigorosamente fermo. Come il Tempo. No, non era la perenne ora del tè e il Capellaio Matto, accusato giustamente di ammazzare il Tempo e non solo quello, continuava a guardare il suo orologio che segnava il giorno ed il mese. Non le ore.

Meglio così, almeno non le vedi passare.

Col pensiero li ho accompagnati fino alla macchina e mi sembrava di vederli camminare, fuori dal ristorante. Lui che giocava col mazzo di chiavi, fischiettando; lei che arrancava su quei trampoli di diciotto centimetri cercando di rincorrerlo a passi piccoli, impercettibili.

La loro velocità era diversa.

Strana era la maniera in cui lei fissava le altre donne del locale. Criticava la loro pettinatura, imprecava contro gli stivaloni troppo alti e pacchiani, sprezzava il loro trucco troppo pesante, cosciente della propria superiorità. Aspettava la sua insalata mista ammirando l’anello che le aveva appena regalato l’uomo della sua vita. Oggi era il suo compleanno – non c’era nessun non compleanno da festeggiare – e lui le aveva fatto il regalo genetliaco più bello del mondo. Le aveva chiesto di sposarlo. Ancora turbata si sistemava la spallina del nuovo abito costato un quarto di stipendio e sfiorava i lunghi riccioli biondi che le cadevano sulle spalle. Si sentiva bella, affascinante, attraente. Avvenente. Aveva una strana maniera di guardare le persone: inclinava leggermente la testa verso destra muovendo la bocca, sempre verso destra. Seduta, socchiudeva gli occhi e si toccava il labbro superiore con il pollice della mano destra reggendo una marlboro light tra l’indice e il medio. Dita raffinatissime sulle quali risaltava uno strano smalto nero.

Col pensiero li ho visti entrare in macchina. Abbracciati. Stereo altissimo.

Lui degustava lentamente il suo bicchiere e le parlava a voce bassa. Aveva prenotato la cena una settimana prima e si era fatto fare l’anello da un suo amico orafo; lo aveva pagato un terzo del suo prezzo. Anche lui guardava le donne che erano sedute agli altri tavoli ma con fare spontaneo, privo di sguardi diffidenti. Amava osservare qualsiasi donna. Amava le donne, in generale. Non rideva quasi mai e si limitava a sorridere. Ogni tanto prendeva la mano della donna bionda e le sussurrava qualche cosa all’orecchio inclinando il corpo in avanti, ben attento a non sporcarsi la camicia bianca. Lei si riversava improvvisamente all’indietro, sullo schienale della sedia, soffocando risate troppo acute.

Col pensiero li ho visti entrare nel monolocale della ragazza.

Si sdraiarono sul letto a due piazze e cominciarono a baciarsi mordicchiandosi le labbra. Lei si alzò, andò verso il mini bar e riempì due bicchieri ghiacciati con dell’ottima vodka polacca; lui si girò e infilò nello stereo un cd di musica classica tra i tanti che erano sparpagliati – senza custodia – sul tavolino.

Cosa hanno in comune un corvo ed uno scrittoio? Nulla. Questo pensavo mentre chiedevo il conto al cameriere.

Sdraiati e sudati ascoltavano le ultime note del disco. Lui si accese una sigaretta stringendo la testa della ragazza bionda sul proprio petto. Pensava al ristorante, alla cena, al monolocale. Pensava all’anello. Pensava al dono genetliaco. Spense la sigaretta a metà e si rivestì scrutando con la coda dell’occhio la donna che piangeva. Non disse nulla ma allacciandosi gli ultimi bottoni della camicia cominciò a sorridere. Un sorriso a labbra strette. Un sorriso che fece muovere la sua bocca. Verso destra.

Quando lui accese il motore della macchina guardò l’orologio. Il giorno ed il mese non erano indicati. Era solo tardi. Troppo tardi.

Quando lei smise di piangere andò dal Cappellaio Matto. Non riuscì a portare a termine un discorso sensato. Ma trovò la differenza tra un corvo ed uno scrittoio.

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